La storia di Pellina. Una breve favola per spiegare ai più piccoli la dermatite atopica.

La Storia di Pellina, La Scuola dell’Atopia

“C’era una volta Pellina, una bella casetta 
con il suo tetto 
e le finestre per guardare fuori. 
Pellina è una casetta 
molto delicata, ma 
finché il tempo è bello 
se la passa benissimo!”

Una volta il tempo si guasta, 
viene molto vento che fa volare le foglie 
e solleva tanta polvere. Pellina, si capisce, 
è tutta spaventata 
e spera che il brutto tempo 
finisca presto. […].

Queste sono le prime righe della breve favola “La Storia di Pellina” che potrete leggere nel sito de La Scuola dell’Atopia, di cui avevo già parlato in questo post.

In breve si tratta di un progetto educativo che si propone di unire diversi specialisti nella gestione dell’atopia in tutte le sue manifestazioni cliniche. L’obiettivo è quello di fornire gli strumenti per permettere al paziente – o a chi di esso si prende cura – di capire la propria malattia, di conoscerne le cure, di sviluppare competenze di auto-valutazione e di auto-trattamento, di riconoscere quando è il momento di rivolgersi ad un medico e a chi rivolgersi.

La storia è introdotta da una breve spiegazione che riassume in modo chiaro la problematica:”La storia di Pellina è quella della pelle dei bambini che soffrono di dermatite atopica. Come la nostra casa va mantenuta ogni giorno, così anche la pelle dei bambini atopici deve essere quotidianamente protetta. Se la loro pelle viene trascurata, essa si ammalerà più facilmente e bisognerà allora ricorrere alle cure dei medici. Ma un’igiene corretta e delle buone creme emollienti sono sufficienti a tenere a bada secchezza e prurito! La morale della favola è quella di 
considerare la idratazione e la protezione della pelle atopica come un momento normale della giornata, che i bimbi devono vivere con naturalezza perché i loro genitori li hanno abituati allo stesso modo in cui li educano a lavarsi i denti, mano a mano che crescono. I medici (i pompieri della storia) e le medicine ci sono, per fortuna, ma più ci prenderemo cura di Pellina ogni giorno, meno ne avremo bisogno!”.

Purtroppo il fatto di mettersi la crema sin da quando era piccola, non ha impedito che negli ultimi tempi avesse dei moti di ribellione.

Proprio nei giorni scorsi mi sono ritrovata a leggerla ad Alice, per persuaderla, ancora una volta, che quella di incremarsi è per lei una sana abitudine, che tiene lontano anche il prurito!

Quando era piccola era molto più semplice: già il fatto di poter “fare da sola” era una grande conquista. Poter affondare la sua manina nel grande barattolone di crema bianca (al profumo di biscotto, ma senza fragranze, è l’odore naturale degli ingredienti) era una grande gioia e grande fonte di divertimento. Un anno. Poi un po’ meno. Negli ultimi tempi, per nulla.

“Io non la voglio Q U E L L A  B R U T T A  C R E M A ! Basta, mettila tu, io no!”

“Tesoro, io la metto e lo sai, ma se tu non la metti, poi arriva il prurito, fastidioso e tu allora mi chiedi la crema con urgenza, per far passare quel fastidioso prurito. Basta poco, guarda, se la metti sulla tua pancia, lei ride (e intanto le disegno con la crema occhi, naso, bocca che ride, che piange, che si arrabbia, e poi lei spalma, ora sulle cosce e lei spalma, ora sulle braccia e così via…” Ora è ancora relativamente piccola e il gioco e la fantasia bastano per vincere un momento no, ma … poi?

Fortunatamente ormai la dermatite atopica si presenta solo stagionalmente (in inverno), soprattutto quando andiamo in montagna, soltanto sul dorso delle mani e fra le dita, e sul viso, per lo più guance, mento, e intorno alla bocca. In via preventiva, dovremmo metterla tutti i giorni su tutto il corpo, io ho trovato un compromesso e per fortuna funziona ugualmente.

Alice però è una femmina, e anch’io sono una femmina. Nell’universo femminile mettersi la crema non è tanto strano. Non solo, io sono, per il momento, il suo modello, quindi se la metto io,  vuole metterla anche lei, per quanto tempo ancora non so.

Di tanto in tanto ha avuto dei moti di ribellione e in quelle circostanze le faccine a cui accennavo prima si sono rivelate, e lo sono ancora, un valido stratagemma. Altre volte ho dovuto spiegarle con più determinazione che nel caso della dermatite atopica gli emollienti funzionano come le medicine, ossia curano la pelle e prevengono il prurito.

Io ho una figlia, ma se avessi avuto un figlio?

Il quale si rapporta ovviamente al modello maschile? E non conoscono molti papà o amici che sono soliti spalmarsi di crema, se non in spiaggia, per proteggersi dai raggi solari. Anzi.

In quel caso quell’abitudine tipicamente femminile diventa un tabù nel mondo maschile, soprattutto a partire dai 5 anni circa. I bambini possono essere  a volte perfidi e possono diventare veri e propri persecutori, prendendo di mira chi è diverso (diverso nel senso diverso da noi, quindi io sono un maschio, il mio papà non si metterebbe mai la crema perché è da femmine, quindi tu cosa sei? Non sei come me…)

Un esempio concreto? Mi immagino il dopo allenamento (calcio, tennis, o altro) in un centro sportivo o una palestra senza spogliatoi singoli. Alcuni compagni potrebbero dire: “Ah guardatelo, si mette la crema, come una femminuccia?” Questa non è una situazione tanto irrealistica. A volte, però, non serve che sussista una situazione concreta, a volte basta l’idea per mettere in crisi un bambino, il quale vede in casa la madre che si increma, ma non necessariamente il padre (sebbene qualcuno lo conosca, e non ci trovo nulla di strano, ma io sono una persona adulta).

Ed ecco che allora penso che ci vorrebbe davvero una Scula dell’Atopia, dove incontrare uno psicologo, a cui rivolgere dubbi e domande, su come porsi di fronte ai figli, sin dall’infanzia, quando il più delle volte sorge il problema, per attrezzare i figli al meglio. Soprattutto in vista dell’adolescenza, in cui la tematica del corpo assume una valenza particolare, in cui il giovane paziente ha una personalità più fragile e più facilmente manipolabile.

Ogni tanto mi domando quanti e quali errori commetto quotidianamente sul fronte psicologico. Come tutti i genitori, cerco di fare del mio meglio. Penso di poter affermare che non si sente vittima della dermatite, o almeno così mi pare. Ricordo ancora l’anno scorso, quando mi disse:”Mamma, ma io non la voglio più la scarlattina, molto meglio avere la dermatite atopica!” Questo mi dice che forse non le sono rimasti molti segni interiori dell’esperienza passata e forse noi abbiamo gestito abbastanza bene la cosa. Sulle allergie alimentari … è da vedere, ma di questo ne parleremo un’altra volta.

Questa favola partecipa all’iniziativa di HomeMadeMamma, Il Venerdì del Libro. Di seguito l’elenco degli altri blog partecipanti all’iniziativa di Paola:

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14 commenti

Archiviato in DERMATITE ATOPICA, Prurito

14 risposte a “La storia di Pellina. Una breve favola per spiegare ai più piccoli la dermatite atopica.

  1. Ciao, anche mio figlio ha la dermatite atopica e se non sbaglio è un coetaneo di tua figlia (2005). Adesso ce la caviamo bene (anche se l’incremarsi mattina e sera è un po’ una palla), Edo non sembra infastidito da questo appuntamento fisso (tranne quando è arrossato e allora mettendo la crema gli brucia). Gli inizi però sono stati devastanti, non riuscivamo a trovare una crema che andasse bene!!! Speriamo che crescendo si rendano conto di quanto sia conveniente l’incremarsi e non lo vivano come una condanna…
    Un abbraccio

    • sì esatto sono coetanei, e anche per noi in passato è stata dura, sebbene a farci venire l’ansia erano più i medici che non la DA in sé e per sé, in quanto Alice era allegra e vivace e si lasciava coinvolgere in tutte le attività senza essere più di tanto infastidita, ma questa è un’altra storia. L’unica cosa che mi lascia perplessa nel tuo commento, è che gli brucia… gli emollienti specifici per la da non contengono alcool, conservanti, profumi ecc. quindi non dovrebbero bruciare, se applicati solo sugli arrossamenti, certo sulle lesioni è un’altra cosa, ma in quel caso noi non applicavamo emollienti, bensì unguenti specifici…, strano.
      Rispetto al vivere il gesto di cremarsi… un giorno un’amica psicologa mi disse che i bambini leggono gli eventi della vita attraverso gli occhi dei genitori… Io non la vedo come una condanna, quindi penso che Alice non la viva così, semplicemente è un “dovere” in più che non le piace, come quando mi dice che non vuole più andare all’asilo perché “su annoia!”… Ne riparliamo tra qualche anno? 🙂

      • Anche a me sembra strano che la crema gli produca bruciore però mi figlio dice che gli brucia anche il collirio…quindi non ci faccio più di tanto caso e comunque dopo qualche secondo non dice più niente. Ok allora, ci aggiorniamo fra qualche annetto 😀 Comunque calcolando che in cinque anni la situazione è migliorata notevolmente io sono molto positiva in proposito. Ciao!!!

      • anch’io anch’io sono molto positiva, speriamo continui così:) a presto

  2. Accidenti, quante cose importanti che hai scritto. Il desiderio di essercome gli altri, la ribellione, le distinzioni di genere, l’emarginazione. Noi abbiamo avuto il problema degli occhiali. I primi tempi Simpatica Canaglia non voleva farsi vedere dagli altri. Però anche noi portiamo gli occhiali e quindi è stato più facile accettare questo cambiamento. Credo che tocchia noi cercare di insegnare ai nostri bambini che siamo tutti uguali e tutti diversi e che non si dovrebbe giudicare (mamma mia come è difficile da metterlo in pratica), parlando, parlando, parlando.

    • Sì, in più proprio l’altro giorno all’asilo avevano organizzato un incontro con una pedagogista sul tema La diversità e sono state dette tante cose, ma mi rendo conto che la società contemporanea ha molte contraddizioni e non è sempre facile. In quell’incontro è stato ribadito però ancora una volta che i genitori sono “il” modello per i figli e se noi accettiamo la/le diversità, sarà più facile che lo accettino i nostri figli, ma è un discorso molto molto complesso. In più aggiungici che spesso parenti e amici ci mettono il becco “Ma non si sentirà diversa?”. Sì, e allora? Non siamo tutti diversi? Chi per una cosa chi per un’altra? La scuola è forse la prima istituzione a non rispettare le diversità (di genere, di apprendimento ecc.) e la famiglia non è da meno. Una persona a me cara continua a ripetermi:” Eppure io li ho trattati ed educati allo stesso modo!” Non so se rendo l’idea.

  3. Una segnalazione importante, la tua. E considerazioni altrettanto importanti. Grazie per il tuo contributo, Monica

  4. Che bel post. Mi ha fatto riflettere. E’ vero, siamo tutti diversi. Anche al mio bimbo capita spesso di doversi mettere la pomata e per ora non fa tante storie, anzi si diverte a spalmarla da solo. Però lui è un maschietto, non avevo pensato al fatto che crescendo potrebbe sentirsi in imbarazzo davanti agli amichetti. Io spero che ciò non accada, che rimanga un bimbo semplice, che ama giocare con tutto: pentolini, treni, legnetti e tappi di plastica! Anche questo significa essere un po’ diversi. Certi bimbi hanno giocattoli costosissimi e non hanno mai giocato con materiali poveri di riciclo. E non se ne vanno in giro con creazioni strane della propria mamma 🙂
    Io sto incrociando le dita… L’orticaria sta di nuovo provocando pomfi e prurito… Tra una decina di giorni ritiriamo i risultati degli esami del sangue, speriamo di avere qualche risposta, perchè per ora non abbiamo la minima idea della sostanza che provoca la reazione!

    • Il problema si pone, credo, principalmente quando la malattia è cronica e richiede trattamenti quotidiani anche quando, apparentemente, la malattia non c’è, ossia è asintomatica, ma potrebbe essere scatenata da un qualsiasi fattore inaspettato, e allora scatta la ribellione, non so se capiti a tutti, ma a molti sì, e, credo, più frequentemente, forse, nei maschi, ma non ho dati statistici. Comunque anch’io sono una mamma riciclona: dipingiamo sui vassoi dei dolci, usiamo cannucce per fiori finti, riutilizziamo scatoloni del fruttivendolo per farne scatoloni contenitori… ma questo la inorgoglisce e di fronte alle wings… dico:”se puoi già giocarci all’asilo, non ti serve averle anche a casa:) ci provo e per ora funziona… l’importante è essere coerenti, del tipo io non sono nemmeno il tipo che si ferma per strada a comprare la borsa griffata pur di averla, non mi importa nulla, ma sarebbe difficile proibire la bambola griffata in quel caso…

  5. Neppure io amo le cose griffate e Topastro per ora è molto orgoglioso dei suoi giocattoli in esemplare unico. Ma tra qualche anno non so, potrebbe cambiare idea. Per il momento io sono molto contenta che si diverta con poco.

  6. come sempre i tuoi suggerimenti di lettura, e di riflessione, sono molto interessanti.
    che poi il problema che poni potrebbe ampliarsi, è il problema di molte mamme di aiutare i figli ad accettare e gestire in autonomia, e responsabilmente, le loro piccole o grandi diversità. vale per chi ha un figlio con dermatite atopica, ma può valere, mutatis mutandis, per chi ha un figlio col diabete, o, pensando alle cose che mi toccano da vicino, celiaco.
    penso che i momenti di ribellione siano inevitabili, la crescita passa anche per questa via, quello che possiamo fare noi è quello che fai tu: sdrammatizzare, ironizzare, proporre percorsi di elaborazione, e poi tanta pazienza e tolleranza…

    • Grazie Gaia, ma anche i tuoi post non sono da meno:)
      Comunque sì, è proprio così, e io aggiungerei a sdrammatizzare, ironizzare ecc. anche la parola condivisione, nel senso che ho visto la leggerezza nel sentirsi allergica quando si è trovata con una amichetta allergica con cui ha preparato dei buonissimi muffin: ah anche tu non puoi? E io non posso questo e quello, però uso questo e quest’altro, ma sì, ma che ci importa…”
      Essere diversi da soli o in compagnia fa differenza, o no? La rete serve ai genitori, ai bambini servirebbero spazi dove incontrarsi.

  7. Pingback: Homemademamma » Venerdì del libro… alla scoperta della Famiglia Orsetti

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